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Un bug a Roma nella notte

Le elezioni europee si sono inceppate a Roma nel modo più grave possibile. Non si sa ancora perché (e vista la pochissima trasparenza che di solito c’è in questi casi forse non lo sapremo mai), il sistema “nuovo ma già testato” acquistato dal Comune di Roma non è riuscito a gestire l’immissione dei dati degli spogli nelle sezioni.

Il risultato finale è che il conteggio “elettronico” definitivo dei voti, in tutta Europa, è “bloccato”, mancano quindi un consistente numero di seggi di Roma, e bisognerà attendere la verifica manuale della Corte elettorale che avverrà tra molti giorni dopo aver ricevuto tutte le schede cartacee.

Poco male. Con la votazione cartacea attualmente in uso, in ogni caso, per la proclamazione dei risultati, questa verfica della Corte è l’unico passaggio determinante (come sostiene il sindaco di Roma nella telefonata “urgente” a Mentana che ventilava un pericolo brogli), . La comunicazione elettronica serve solo per motivi informativi e non legali. Può essere, by design, parziale o errata, tanto fa fede il conteggio “legale” della Corte elettorale, che peraltro dirime anche alcuni casi di contestazioni e incertezze delle sezioni elettorali.

Quindi, il bug, in fondo, ha gettato scompiglio ma non ha “rotto” il processo elettorale, che è progettato per essere “resiliente” anche in un caso del genere.

Ipotizziamo invece adesso che il voto si fosse svolto “in modo elettronico” e che, esattamente come è avvenuto, questa “fase elettronica” fosse stata l’unica presente, e che la Corte elettorale, non avrebbe potuto fare altro che accettare il conteggio elettronico, invece che andare a riconteggiare le schede.

Semplicemente il risultato sarebbe stato “perduto”, ammesso che qualcuno si fosse accorto dell’errore, perché in assenza dei verbali cartacei delle sezioni non c’era alcun dato di riferimento a cui adeguare quello errato elettronico.

Insomma, se pure avessimo saputo del bug, noi cittadini saremmo stati gettati nella più completa incertezza sul risultato (come oggi), ma anche la Corte elettorale non avrebbe avuto risultati migliori per fare il proprio mestiere.

Cosa avrebbe fatto la Corte a quel punto, senza schede cartacee a cui far riferimento?

Avrebbe potuto invalidare l’intera elezione (improbabile), metterla in stand-by per aprire una sessione di voto aggiuntiva dopo alcune settimane (altrettanto improbabile) oppure decidere che, tutto sommato, l’impatto sulle votazioni, pur riguardando una grande città come Roma, poteva essere trascurato.

L’ultima opzione sembra assurda e contraria addirittura alla Costituzione, dove ogni voto espresso dovrebbe contare, ma sarebbe stata la più probabile, con molti precedenti nazionali (sebbene con scala più limitata) e un grande precedente internazionale in Germania quando la Corte Costituzionale tedesca ha ammesso che (appunto) il voto elettronico usato fosse totalmente inaduguato e di qualità tanto bassa da non rispettare le banali garanzie per poterlo considerare un voto democratico e rispondente alla Costituzione, ma allo stesso tempo non ha invalidato la votazione condotta con questo sistema e limitandosi a dare prescrizioni sulla successiva votazione (da quel momento in poi il voto elettronico in Germania non verrà più usato).

Poi. Queste erano elezioni per un parlamento europeo che si fatica a considerare seriamente una “istituzione democratica”, avendo ancora competenze instabili e limitate, stretto in un processo di gestione dell’Unione Europea dominato più dai governi che dalle scelte elettorali effettivamente espresse dai cittadini. L’elezione del Parlamento Europeo non determina “automaticamente” l’accesso alla gestione diretta di fondi tali da poter accrescere sostanzialmente il potere chi vi accede, come ad esempio avviene in una elezione nazionale che permette di accedere alla Presidenza del Consiglio (seppur indirettamente). La bizantina struttura del potere europeo mette al riparo da questi esiti. Il che rende non così alto l’interesse e l’animosietà delle varie parti.

Se però queste fossero state elezioni nazionali da cui sarebbe uscito (indirettamente) il Governo (o più direttamente in caso di premierato), c’è da credere che gli animi sarebbero molto più accesi e nessuno può dimenticare quando nel 2006 (proprio peraltro in concomitanza con un primo timido tentativo di uso del voto, anzi solo scrutinio, elettronico, peraltro funestato da molteplici problemi) il leader del governo uscente per qualche ora non volle riconoscere il risultato elettorale che lo dava perdente per poco. In una situazione d’incertezza così grave, cosa sarebbe successo?

Nessuno può ovviamente saperlo, ma prepararsi al peggio è esattamente il modo giusto per affrontare il processo elettorale, che non dimentichiamolo mai non è una questione solo tecnica o economica, ma è la fondamentale struttura che definisce il tessuto della cessione del potere che passa dal popolo agli eletti. Se il popolo ritiene che questa cessione avviene in modo “opaco” (questa è, ad esempio, la tesi della Corte Costituzionale tedesca), potrebbe decidere di “strappare questo tessuto” e reclamare per se, a buon diritto, questo potere.

Il processo elettorale, prima di qualsiasi “velocità”, deve garantire che non si spezzi la disponibilità del popolo a cedere il potere agli eletti. Un governo che, come oggi il Sindaco di Roma, renda disponibile un “sistema” inadeguato (che poi eventualmente venga, per mera comodità, giustificato dalla Corte elettorale) rischia fortemente, e ad ottima ragione, un rifiuto totale e collettivo.

C’è un “bug” anche nell’ordinata gestione delle istituzioni democratice, che è il “bug” della libertà dei cittadini.

I tecnocrati e i politici furbacchioni che sperano di poter manipolare il processo elettorale dovrebbero tenerlo in adeguato conto.


Vedi: Gualtieri da Mentana

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