In assoluto il Comitato non è contrario al voto elettronico. In particolare la posizione del Comitato non si basa su contestazioni tecnologiche al voto, ma piuttosto giuridiche e politiche. Con flessibilità. Questo significa che riteniamo fondate molte delle attuali contestazioni tecniche al voto elettronico, ma le consideriamo «attuali», non necessariamente cioè vere in prospettiva. Pensiamo che sia meglio impegnarsi in qualcosa di più definitivo come una dichiarazione di incostituzionalità.
Cosa ci riserva il futuro non è dato sapere, molte cose che tecnologicamente erano improbabili e sembravano impossibili sono divenute vere da un momento all’altro. È sempre possibile, e sperabile anche, una nuova scoperta, ad esempio una nuova funzione matematica, che possa venire incontro ai difficili requisiti di un voto elettronico veramente democratico. Non c’è bisogno per noi fare una professione di fede anti-scientifica e anti-storica come: «non esisterà mai la tecnologia adeguata a supportare correttamente il voto elettronico»
C’è un altro motivo per cui riteniamo questo argomento inefficace, diviene facilmente un battibecco tra chi crede e chi non crede che il futuro ci destini cose nuove. Un battibecco che agevola che «ha il potere» il quale può facilmente liquidare la posizione abolizionista come arretrata, luddistica o semplicemente vecchia.
La rigidità scientista delle risposte dei tecnologi non aiuta. Peggio ancora le querelle innescate dai bulletti da social network che strepitano «contro» un nemico e mostrano solo l’intolleranza dell’ignoranza di quelli che si arrogano il diritto di avere conoscenze, senza per questo mettere sullo stesso piano, come in democrazia dovrebbe essere, le posizioni avverse.
Sia chiaro, nessuno di noi ha dubbi che gli attuali argomenti tecnologici a favore del voto elettronico siano per lo più fallaci. Ma il comitato ritiene gli argomenti tecnici, che piacciono tanto ai tecnici, non siano politicamente efficaci. Anche se è utile che i tecnici li sostengano, dovrebbero essere loro per primi consapevoli delle evidenti limitazioni di questi argomenti.
Per questo motivo e per essere chiari, il comitato ha sempre privilegiato argomenti di diritto e di politica, primo tra tutti la sentenza della Corte Costituzionale tedesca che pone un punto, perfettamente non tecnico, e non necessariamente contrario al voto elettronico, ma ineludibile: quello della conoscenza del cittadino. Se esiste questo comitato dal 2018, è perché ha adottato questo modo di affrontare il tema.
Non può esservi transizione di sovranità politica, sostiene la corte, senza perfetta visibilità del processo elettorale. La corte non impedisce, a rigore, l’uso del voto elettronico (presente o futuro) ma pretende (come appunto «requisito del voto in democrazia», e come fondamento della costituzione, del stato di diritto e della democrazia rappresentativa) che sia l’espressione del voto che il conteggio debbano avvenire sotto l’occhio nudo e senza particolari competenze del cittadino, del funzionario del tavolo elettorale e di ogni livello coinvolto nel processo elettorale.
È un punto particolarmente forte, perché se da un lato non esclude l’uso di tecnologie assistive (che il CRVD sostiene), impedisce ogni «sistematica opacità» del processo.
Detto questo, ecco quindi un paio di derivazioni logiche da questa posizione del Comitato che forse faranno storcere il naso a qualcuno nel campo dei contrari al voto elettronico senza se e senza ma.
- Il comitato in questo momento attesta questi «requisiti» esclusivamente su quelle votazioni la cui esecuzione porterebbe un eventuale malintenzionato a spendere le cospicue risorse necessarie a manipolare una votazione per ottenere così risorse di gran lunga superiori, ad esempio avendo accesso al Governo di un Paese. Questo porta il Comitato a poter considerare possibile l’adozione del voto elettronico al di fuori delle elezioni politiche nazionali (e per la loro rilevanza economica quelle per i governatori delle regioni). Tutto il resto è quindi discutibile.
- Il comitato inoltre sostiene esplicitamente l’uso del voto elettronico (possibilmente con tecnologie di democrazia partecipativa) a condizione che (condizioni pesanti in realtà) venga fatto con la massima consapevolezza senza cessione di fiducia in bianco ai gestori del voto. Di qui ad esempio le posizioni favorevoli al voto nei partiti politici (ma poi se diventa un problema sistemico nazionale? parliamone) o atenei universitari, società private e altro. In tutti questi casi, ma a maggior ragione nel caso degli ordini professionali che devono essere ‘vigilate’ dal potere pubblico, tramite il Ministero della Giustizia, il CRVD chiede che le procedure elettorali (digitali e non digitali) siano appunto ‘vigilate` eventualmente nei termini della Checklist che proponiamo, a partire dalla pubblicazione di Park et al e aggiornato, a cui chiediamo di contribuire scrivendoci. Questa è una lunga lista di domande che non hanno una risposta ‘corretta’, ma che servono a condividere consapevolezza e conoscenza sulle procedure del voto adottato.
Queste sono due condizioni «deboli» tenute per buone per evitare la prospettiva luddistica in cui cadono molti tecnologi estremisti, e che non ci appartiene.
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